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mercoledì 20 luglio 2011

Modalità offline ovvero le metropolitane non sono Dio


Una volta parlai con un uomo, il quale aveva vissuto per oltre dieci anni in una città come Milano. Dopo tutto quel tempo trascorso in quel luogo chiamato alta – Italia, decise di ritornare al suo paese d’origine in Calabria. Di certo non tornò per una questione economica, visto che guadagnava bene, svolgendo un lavoro che gli recava molte soddisfazioni. E soprattutto, era consapevole di lasciare un qualcosa, che tutti gli altri definivano un punto d’arrivo. Bene! Lui abdicò il suo punto d’arrivo, e tornò a casa, nella sua terra, consapevole di dover ricominciare nuovamente da zero. E quando gli chiesi il perché l’avesse fatto, quell’uomo mi disse i tanti perché. Ma tra tutte le motivazioni che mi diede, quella che riassume meglio tutte le altre, è quella della “metropolitana”. Ovvero, quell’uomo rientrando ogni sera dal lavoro in metropolitana, e guardandosi attorno, tra tutte quelle facce stanche, alienate, aveva deciso di fuggire. Consapevole che se un domani avesse avuto un figlio, non avrebbe voluto che il suo ragazzo nascesse in quel posto, in quella città, tra quelle facce avvilite.

Tralasciando il rapporto di parentela che mi lega a questo signore, posso semplicemente dire che condivido la sua scelta. Negli ultimi tempi, mi è capitato di parlare con alcuni amici che hanno deciso, o che stanno per decidere, di voler lasciare la metropoli per tornare alla terra d’origine. Questo non è un discorso sulle metropoli degno di un comune manuale di sociologia; è un discorso diverso. Diverso da cosa? Non lo so! Vorrei riflettere sul concetto di terra e di appartenenza. Credo, e ne sono convinto, che solo la terra nella quale sei nato e nella quale hai trascorso parte della tua vita - le fasi più importanti (fanciullezza e adolescenza) – possa darti quella giusta carica che ti permette di riflettere. O meglio, più che carica la definirei una sorta di ossigenazione al cervello. Non si può riflettere ovunque! È l’ambiente che ti circonda che influenza il pensiero. Riflettere sul suolo d’origine è diverso dal riflettere in una metropolitana. Le metropolitane! Sicuramente ci sarete stati.

Saranno affascinanti le metropolitane? Di certo lo sono, se non sei abituato alla loro presenza. Magari se vivi in un posto nel quale l’unico mezzo pubblico è il postale, e poi capiti in una città nelle vesti da turista, e direi anche (per usare un termine fantozziano) nelle vesti da coglionazzo, corri il rischio di farti affascinare da quell’ambiente. Ma se invece la metropolitana diventa parte integrante della tua quotidianità, sicuramente non si guarderà più come un posto affascinante. Nelle ore di punta, è facile vedere nei vagoni della metropolitana delle facce alienate per usare un termine ottocentesco. Credo che non abbia più senso parlare di alienazione. Userei un nuovo termine al posto di alienazione, userei Offline. Quelle persone, quelle facce, sono offline. Magari solo qualche pensiero su come trascorrere le vacanze, un pensiero su quanto costano i canili per i propri figli, quei posti dove lasciare i bambini e stare tranquilli che c’è qualcuno che bada a loro, che gli fornisce il pastone. Qualche pensiero sulla rata della macchina e al mutuo, pensieri come sbarre di prigione, e l’unico sollievo, magari, è quello di pensare “Sì, però quest’estate vado su qualche isola a rilassarmi! E dopo tutto, la rata della macchina non è alta, considerando che ho fatto un affare, visto che mi fa 20 a litro. E poi, sai che ti dico? meglio pagare il mutuo, piuttosto che l’affitto!”.

Ma in questa era iperbolica, fatta di connessioni, diete dimagranti, chirurghi plastici, agenti di borsa, borse di agenti, che cos’è un rivoluzionario? Esistono ancora i rivoluzionari? Se pensate a tutti quei ragazzi che lavorano per cinquecento euro al mese, e con quei soldi riescono a pagare solo l’affitto e la metropolitana, che cose pensate? Forse il primo pensiero è che viviamo in una società incivile. Non può essere giudicato civile, un sistema che si basa sulla rassegnazione collettiva. Una rassegnazione indotta da qualcosa, qualcuno che non vediamo, non conosciamo, un manipolatore virtuale. Bene! In questa epoca virtuale, di sopportazione, in questa epoca nella quale la speranza viene venduta con il costo di un master o di un dottorato, in quest’epoca nella quale le illusioni di un futuro migliore sono commercializzate ad un prezzo accessibile a tutti, con lo stesso meccanismo di una chiesa evangelica, in questo tempo di truffa, e di commercializzazione dell’anima, insomma, in questa epoca dell’essere o non essere online, il rivoluzionario è colui che torna all’origine. E’ colui che sente il richiamo di quel luogo che gli ha dato i natali, di quel posto lontano fatto di piaceri semplici, d’ironia. Il rivoluzionario di oggi, è colui che vive giorno per giorno, spensierato, in un posto che gli permette di riflettere, di acquisire forze, energie, respirando salsedine, all’ombra di un ulivo!

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